Quaderni Bellunesi
Laboratorio di cultura e politica della provincia di Belluno
anno 2013 | numero 53 | ottobre
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Per Belluno e Sondrio
la Provincia è indispensabile


La battaglia a favore del mantenimento delle Province di Belluno e Sondrio, quali enti locali territoriali con rappresentanza politica di primo livello, non è finalizzata alla semplice conservazione dell’ente, ma è l’occasione per richiamare il rispetto della Carta costituzionale ogniqualvolta il legislatore statale intende intervenire in materia di autonomie locali territoriali. Sono persuaso, infatti, sulla scia della lezione di Valerio Onida, Presidente emerito della Corte costituzionale, che la Costituzione “non debba inseguire i mutamenti, ma assicurare la stabilità”.

Invece, nell’ottica della riduzione della spesa pubblica e della razionalizzazione del sistema delle autonomie locali, il legislatore è già intervenuto in modo tale da sacrificare prepotentemente la sfera di autonomia di Comuni e Province, con la conseguenza di trasformarla in un quid “calato dall’alto” e non riconosciuto, a differenza di quanto solennemente dichiarato nel Testo fondamentale (art. 5 Cost.).
A conferma di questo aspetto, risultano di estrema importanza le decisioni del giudice costituzionale prima per affermare l’idea che la crisi economica e finanziaria che stiamo vivendo non può giustificare interventi lesivi delle garanzie costituzionali poste proprio a difesa delle amministrazioni comunali e provinciali (sent. n. 151/2012 Corte cost.), poi per stigmatizzare la procedura di riordino-riduzione delle Province voluta e perseguita dal Governo Monti (sent. n. 220/2013 Corte cost.).

Per zone di montagna come Belluno e Sondrio, la Provincia può assumere un ruolo strategico, in quanto centro di riferimento e di unificazione delle problematiche e delle peculiarità delle singole vallate che le compongono e, proprio in ragione di questo, si presta a essere un interlocutore privilegiato con il governo regionale e statale. Si tratta di un ruolo che, a mio modo di vedere, difficilmente può essere esercitato da enti di secondo livello come Comunità Montane o Unioni montane di Comuni (in merito a quest’ultime è recentemente intervenuto il Consiglio regionale veneto con la legge n. 40/2012), dal momento che esse risultano organismi limitati alla gestione di una parte del territorio e, come tali, impossibilitati ad avere una visione “sinottica” dell’intera area montana e per di più con rappresentanza indiretta. Il rischio, dunque, è quello di una politica “parcellizzata” e non uniforme, soprattutto per l’esercizio di alcuni compiti fondamentali (pensiamo, ad esempio, al piano territoriale di coordinamento, alla viabilità etcc…).

continua

Daniele Trabucco
Università di Padova



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