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Ritratto. Perdita e morte di una donna non comune
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È avvenuta troppo, troppo presto la morte, inattuale, difficile da comprendere. Ha falciato una donna, una grande donna.
"I migliori se ne vanno per primi" recita tristemente un antico adagio che sottolinea la precarietà della terribile esperienza umana. Frase che si dice tanto per dire, che in definitiva non manifesta nulla se non la disperazione del vivente, addolorato e smarrito di fronte a ciò che è misterioso e, nemmeno minimamente, comprensibile.
In primo luogo sarebbe banale formulare una graduatoria delle virtù e dei vizi per stabilire il valore dei nostri simili; non solo: sarebbe oltremodo arbitrario relegare il bene o il male ad aspetti settoriali del proprio operare. 
Come si può parlare della professione, omettendo la vita sociale? o delle relazioni parentali senza conoscere l’intimo emotivo o la sfera spirituale? 
Forti di tali premesse, parrebbe sensato sospendere ogni giudizio, finanche ogni opinione, perché incompleti e fuorvianti o addirittura falsi.
 Ma questo vale in generale, non per chi sta esprimendo questi pensieri per la persona da ricordare, perché attento e vicino da lungo tempo, rivestendo i ruoli più disparati, non ultimo quello di "assistente spirituale laico" negli ultimi mesi di vita.
Trascorrere l’adolescenza e la giovinezza in un ambiente lontano e indifferente ai fermenti degli anni ’60 non poteva certo giovare alla formazione di una mentalità aperta, ma anche questo vale in generale, non per chi nasce e cresce dotato di un’indole, per sua natura, già fuori dal gregge, dal "catalogo". 
Le personalità inattuali, per definizione, sono refrattarie all’influenza delle mode o delle peculiarità dei tempi e quindi della storia comune del popolo, non sono "decadenti" (nel senso nicciano).
 La minoranza, specialmente quando è molto ristretta, fatica a trovare una collocazione ed un’approvazione, quindi ha bisogno, spesse volte, di "autoreferenziarsi", esaltando la celebrazione e la promozione di se stessa.
 In altri termini, c’è poco spazio per chi è sopra le parti, per chi è profondo, virtuoso e nobile d’animo.

Essere emancipati significa sostanzialmente anelare alla libertà, ed essere davvero liberi, ma non con l’intento di rincorrere la dissolutezza per reazione alle ancestrali costrizioni, bensì per sentirsi immuni dai condizionamenti culturali dai quali, consapevole o meno, ogni donna ne è tuttora vittima.
In secondo luogo questa persona sposò solo le cause buone, non tenne conto dello scudo delle organizzazioni, delle strutture, dei "titoli" (che pur possedeva …), dei partiti politici o dei colori sindacali o dei privilegi derivanti da amicizie clericali, del bisogno della sicurezza familiare, del sostegno parentale, ma seppe valutare i cuori delle persone, la loro buona fede, il loro disinteresse.
E mai fece azioni inique per ottenere beneficio o fama, ma fu solo desiderosa di salvare i principi, di andare incontro a chi lo meritava o aveva bisogno, rimettendoci di persona e navigando contro corrente, in barba ai benpensanti, quand’anche fossero "persone in vista".

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Aveva superato pure l’empasse femminismo-maschilismo, retaggio di una semplificazione che non le apparteneva.
Oltre vent’anni fa, un valente artista le chiese, quasi per celia: "Fammi un elenco scritto dei valori irrinunciabili che diano un senso alla tua vita, in ordine d’importanza". Tale lista esiste tutt’ora e queste erano le prime voci: Amore, Affetto, Amicizia, Giustizia, mentre le ultime Successo, Denaro, Reputazione. 
E aggiunse: "Se c’è l’amore, tutto il resto può scomparire, basta un riparo per riposare e pane e acqua per alimentarsi."
 Era una donna avulsa da ogni miseria prosaica.
 Anche per questo nessuno provava indifferenza per lei: o l’amava o la detestava.
 "Chi ha carattere ha per forza un brutto carattere" recita un noto detto. E ancora: "Le cose buone sono frutto dei buoni, ma raramente i buoni sono deboli o molto simpatici."
Il forte conosce la paura, ma non arretra, si dispera, ma poi risorge, perde tante battaglie, ma non si arrende mai, nemmeno di fronte alla morte, come la ginestra leopardiana che cede solamente quando la lava incandescente la travolge.
 Così ha fatto questa creatura: solo quando consumò l’ultima molecola di ossigeno, la forza venne meno e ci lasciò … e lasciò a chi l’amava un vuoto enorme, ma anche l’eredità dell’esempio di una strada da percorrere per vivere intensamente e morire nella pienezza, nella dignità, nel decoro.
Mi disse un teologo: "Questa donna visse nella luce evangelica senza saperlo, amò il suo prossimo senza volerlo e portò una croce più grande di quella di Cristo senza essere conscia di continuare, in questo modo, il suo "mestiere" di docente.
"Si sente spesso di questi tempi, attraverso i mass media, la voce dei nuovi profeti, dei saggi improvvisati che hanno scoperto la natura, il bosco, le montagne e vogliono insegnare come si deve vivere "a misura d’uomo".

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Poi ci sono gli esperti dello spirito che suggeriscono le ricette per l’anima. Generalmente non parlano male, non asseriscono principi errati, per quanto ingenui e banali, ma lo fanno cavalcando la moda o le effimere esigenze del popolo disorientato, bisognoso di spiriti guida. 
C’è chi, invece, precedendo i tempi, sempre ha pensato e detto ciò, sempre ha anteposto l’equità e la naturalità al sopruso e all’artifizio. E ha precorso i tempi anche nei costumi, maturando una sorta di immunità rispetto al pregiudizio, ove laicità e religiosità divennero concezioni deboli, come succede a chi percepisce la limitazione dell’assolutismo manicheo.
Persona colta in senso classico, ma ancora di più in senso moderno per cui, costituzionalmente aperta al nuovo, sapeva risolvere anche i problemi contingenti con una capacità di leggere e di adattarsi alle dinamiche sociali come pochi, mantenendo classe e fascino.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Pressappochismo nelle inezie e rigore esasperato nelle questioni serie e importanti: ciò nelle cose così come negli affetti. Il tutto o nulla, in altre parole, era un altro suo postulato.
È significativo questo passo da una sua "lettera-confessione" consegnata a me come confidenza, un dono da tenere celato fintanto che era in vita (emancipazione e pudore talvolta si abbinano egregiamente): "… i momenti sbagliati, le mura costruite dalla mente, le invidie e le cattiverie di chi c’è intorno, le prove della vita, il timore che affetti diversi non siano compatibili tra loro, fanno crollare certi incanti se non sei forte abbastanza per evadere, se ti lasci schiacciare dalle difficoltà, dai dispiaceri, dai condizionamenti, se non ce la fai a raccontarti fino in fondo con tutte le tue realtà, hai paura, non chiedi aiuto, ti mascheri o scappi e non comunichi più …".
 
Il suo intimo nascondeva sofferenza, una sofferenza che mai ha trasmesso a chi le stava intorno: anche questa era la sua forza.
Saper ascoltare, non avere l’assillo del tempo (non portava l’orologio), saper comprendere i problemi, le sofferenze ed i drammi degli altri, anche quando la sua malattia era al limite della sopportazione e la speranza di sopravvivenza nulla: fatti che, anche se non ascrivibili al concetto di eroismo, sono almeno di eccezionalità.
L’essere "omogenei", cioè mantenere le proprie caratteristiche indipendentemente dal contorno o dal livello culturale di tale contorno: ecco un’altra prerogativa di chi è "tutto d’un pezzo", di chi sa contenere le proprie incongruenze o vanità o "peccati" per pudore e per non "inquinare" con la negatività.
È difficile ai nostri giorni essere (e non solamente dichiararsi) veramente "popolari" nel pubblico e nell’intimo come tenere, indifferentemente, contatti con il più importante e con il meno importante; o come innamorarsi del magnate della acciaierie o del più umile e indigente fabbro della periferia.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 Come tutti gli intelligenti, questa donna era tormentata dal dubbio (che però non la traghettò mai a scetticismo senza speranza), dall’agnosticismo, non solo metafisico che ostacola la serenità del vivere, ma anche quello latente e ben mimetizzato. Era diffidente verso ogni essere e, ancora di più, verso se stessa.Rari i suoi punti esclamativi, frequenti invece quelli interrogativi ai quali né la cultura né le persone sapevano dare una risposta definitiva.
Paura della vita, paura del dolore, paura della morte, questo sì, ma mai paura di amare e di lottare per un buon motivo.Tanto mordace nel disprezzare gli inetti furbastri e dozzinali, quanto generosa nel lodare e gratificare i meritevoli e disinteressati, quand’anche fallaci e stravaganti … e saper, senza sforzarsi, farsi voler bene: altra dote non comune, innata, difficilmente imitabile. 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 Come saper ascoltare le voci dei più diversi, cercando la sintonia per poter poi esprimere un contributo proprio, quasi sempre originale.Ma ciò che supera di gran lunga l’intensità di questo breve e, forse, maldestro ritratto, è il tempo ultimo, quello che devasta qualsiasi mortale consapevole del momento che segnerà la scomparsa definitiva. Fine, dolore, morte: parole mai pronunciate. Saputo il destino fin nel dettaglio e fin dall’inizio, seppe erigere una barriera o, meglio, un efficace filtro capace di respingere parole e concetti che esprimessero l’irreversibilità del nuovo cammino, che risuonassero come un tunnel senza ritorno.
Per lei era necessario adoperare la vita in questo modo, sino all’ultimo e poter dare tutto ciò che poteva, "normalmente". Senza quel filtro tutto sarebbe stato falsato e tutto avrebbe avuto il sapore della triste e tragica pietà.Il mistero dei grandi, degli illuminati, dei Santi quotidiani: il "debole" che aiuta il "forte"; chi è al crepuscolo che si spende per chi ha ancora tantissimo dinanzi. La "processione" fissa davanti al suo letto per tanti mesi ne fu la testimonianza. Persone che, credendo di spendersi per dare aiuto, se ne andavano arricchite di consigli, di tenerezze, di serenità; convinte di consolare, uscivano dalla stanza consolate, con l’eco di un "grazie, torna ancora che abbiamo tante cose da fare" e l’immagine di un sorriso che nascondeva egregiamente il dolore.Rare volte, nei momenti di intimità, quando guardarsi in un certo modo negli occhi diventa un fatto unico nella vita (come uniche sono le persone che lo fanno), si lasciava sfuggire: "Fulcio, ho paura. Cosa devo fare?". Riuscivo a risponderle (non so ancora dove trovavo il coraggio…): "Ho più paura di te, però ti tengo stretta, non temere, sono qua io!". Quel sono qua io suonava da onnipotenza, invece le mie lacrime dicevano che contavo meno di nulla …E poi … e poi … tanto altro che la delicatezza verso le persone a me più care ed il mio pudore non mi permettono di dire, tanto sanno di profetico e di miracoloso.È proprio vero che, quando abbiamo raggiunto l’ultima verità, è maturo il tempo per insegnare il massimo per poi andarcene. Verso dove? Lei non lo sapeva, come tutti, ma forse più di tutti. Ciò non le impedì di adorare la vita, di amare gli esseri e di governare la propria morte …
Eternamente grazie, di tutto! E aiutaci ancora, se puoi …

Fulcio Bortot


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