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La secessione di tanti comuni della provincia
 é condanna della sua classe  politica

Lectio magistralis di Franco Posocco sul Gazzettino e postilla del Circolo Antonio della Lucia

 

 

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Il silenzio colpevole dei nostri politici

Da un po' di tempo nel Veneto, di montagna non si sente più parlare.
 Passato il clamore dei referendum, uno spesso silenzio è sceso sull'argomento, riguardato dalla grande stampa e nei salotti della politica con distrazione e fastidio. 
Certo, l'aver impostato la questione soltanto sulla rivendicazione economica non ha giovato alla causa, banalizzata alla stregua di una semplice contabilità finanziaria, del dare e dell'avere.
Guardando al passato, ben diverso era il progetto politico che nel Quattrocento sostanziò le dedizioni delle città terrafermiere a Venezia. 
Esse infatti contrattarono la loro aggregazione salvando l'autonomia amministrativa ed il governo delle risorse, mentre rinunciavano alla responsabilità sulla moneta, la difesa e gli affari esteri.
Ancora più consapevole e audace fu la posizione delle comunità alpine che tra il Cinquecento e l'Ottocento liberamente deliberarono di lasciare la Borgogna, il Ducato di Milano, la Savoia e l'Impero absburgico per dare vita alla Confederazione elvetica. 
Esse misero in disponibilità solo quanto occorreva alla comune sopravvivenza, mantenendo intatte le competenze e salvi i poteri dell'ente locale.
Un pensiero debole sembra avere quindi caratterizzato, nella recente battaglia per la sopravvivenza, l'azione della montagna veneta, divisa da interessi locali, priva di lungimiranza ideale, incapace di una visione prospettica unitaria.
 La diseguaglianza rispetto alle aree limitrofe, dotate di statuti speciali ed la comparazione con la sottostante pianura, avvantaggiata da una forte organizzazione urbana, determinano infatti una giusta denuncia dell'ingiustizia. 
Ma il lamento, la rivolta contro la disparità devono essere accompagnati da una proposta alternativa, cioè ad un tempo istituzionale, economica e territoriale, che riguardi l'intero sistema montano dal Garda al Cansiglio, dalle Dolomiti agli Altopiani. 
Una nuova ipotesi che assuma le omogeneità e le differenziazioni, le affinità ed i contrasti in una sintesi generale.
Le Alpi e le valli, le Prealpi e gli Altopiani sono caratterizzati da una accentuata diversità fisica e antropica, cioè da un rapporto peculiare tra la società e l'ambiente. 
Ciò significa che ogni luogo è segnato da una propria storia e da una propria geografia. Sarebbe quindi un errore considerare la montagna veneta come una zona omogenea, poiché nelle diverse zone si sono svolte vicende specifiche che hanno interessato veneti e ladini, cimbri e germanici. 
Questi nelle aree del loro insediamento hanno dato vita a culture, aggregazioni, economie, paesaggi molto articolati dal punti vista morfologico e sociale. 
Si pensi all'assetto urbanistico delle grandi valli (Valdadige, Valbrenta, Valbelluna) al paesaggio degli acrocori (Asiago, Lessinia, Alpago), alla disseminazione insediativa nell'area dolomitica. Qualsiasi proposta di riassetto istituzionale deve tenere conto della specificità/identità di ogni sottosistema e deve considerarle come una risorsa da gestire in regime di autonomia/sussidiarietà. 
Come faceva la Repubblica di Venezia con le Magnifiche Comunità, le Spettabili Reggenze e le altre strutture dell'autogoverno locale.
 E' questa la via seguita da tempo in Svizzera e in Austria, stati di passo dove la solidarietà del paese si esprime mediante un contributo alle aree più gracili e disagiate, ma nel quadro di un sostegno a progetti di sviluppo, non nei termini del sussidio e della elargizione.
Paul Guichonnet, il grande studioso ginevrino dei problemi della montagna, aveva descritto il piano per il Vallese, il cantone più debole della Svizzera, dove l'azione combinata per lo sviluppo non consisteva in una distribuzione a pioggia di contributi, ma in un progetto strategico basato sulla responsabilità e il coinvolgimento, anche sul coraggio e la cooperazione delle componenti interessate. 
Ancora la Repubblica di Venezia ci può insegnare qualcosa, se si considera che essa aveva zonizzato, cioè precisato le colture e le produzioni locali da proteggere e incentivare. 
Come otteneva la canapa dalla bassa padovana e il riso da quella veronese, così venivano privilegiate l'estrazione mineraria, la coltura del legno, la produzione di carbone, lana, carne e latticini nel Feltrino, nel Bellunese e nelle valli interne del Cadore e dell'Agordino. 
Venezia si limitava a proteggere le attività economiche con un distaccamento armato agli ordini di un capitano o di un podestà, ma lasciava l'esercizio dell'impresa all'iniziativa privata, talché emerse una borghesia locale, una nuova classe dirigente, attiva e fedele alla Serenissima.

Quella della classe dirigente appare quindi come una questione centrale. 
E' questa che deve crescere e darsi carico di un progetto politico audace, che trasformi lo svantaggio in una opportunità.

La teoria economica infatti ci ricorda che le imprese assistite sono anche le più gracili. Sembra questa la ragione per cui la grande imprenditoria del nord-est, quella dei Benetton, Zoppas, Del Vecchio e di tanti altri capitani d'industria, è emersa proprio nelle zone esterne a quelle favorite da statuti regionali incentivanti. L'ultima di quelle citate riguarda appunto un settore, l'occhialeria, che sembra aver ripetuto la vicenda svizzera dell'orologeria, dove si è privilegiata la specificità locale. 

 



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La soddisfazione del Circolo Antonio Della Lucia

Soddisfazione e compiacimento per l'articolo di  Franco Posocco sul Gazzettino de 27 agosto e qui a fianco riprodotto.
 Finalmente, si poteva pensare, i nostri consiglieri regionali, i partiti di questa provincia avrebbero potuto, leggendo l'articolo, misurare la propria insipienza e rimettere a tema i discorsi sul futuro della nostra provincia
Mai una voce così autorevole, come è quella di Franco Posocco, ha denunciato il fallimento, di fatto, di una politica che porta i nomi di Dario Bond e Guido Trento, di Sergio Reolon e in tono minore ( ma non per merito suo) di Bottacin  e lo ha fatto non  in termini politici, ma culturali.
Onore al Gazzettino di aver aperto con Posocco un dibattito così importante. 
Si poteva pensare che il giornale sarebbe stato, addirittura, in difficoltà per i "tanti" che avrebbero voluto
intervenire.

Ma è stato silenzio.
Un silenzio indegno!

Un'ulteriore  testimonianza che quello della classe  politica potrebbe essere il vero problema della nostra Provincia.(C.A.D.L.)




Servono quindi orgoglio e determinazione, anche coraggio e consapevolezza del metodo e del fine. L'innovazione e la formazione appaiono strategiche a tale riguardo, così come l'attenzione ai giovani e alla cultura. La spesa istituzionale va drasticamente ridotta. Molti si sono chiesti, quando si dibatteva del destino delle Comunità Montane, per quale ragione non sia stato insieme proposto di aggregare i comuni riducendone il numero (ed il costo). Nell'Agordino vi è un microcomune dove c'è il municipio, ma non più la parrocchia. La Chiesa è veloce nell'intendere i tempi: la parrocchia è stata infatti unificata con quella del comune limitrofo. 
Perché non ricostituire regole e usi civici in tante zone alpine? 
Potrebbero svolgere una azione stabilizzatrice e ordinatrice, con maggiore equità di quanto non faccia il maso chiuso tirolese.

La montagna veneta è la protezione del Veneto ed insieme l'area di complemento della concentrazione urbana. 
Ciò significa che la montagna è anch'essa città a pieno titolo, ma va governata dalle sue popolazioni secondo progetti non puramente assistenziali, ma rivolti al futuro, integrati settorialmente, dotati di tecnologia.
Un dibattito nuovo, aperto e coraggioso attende quindi la montagna veneta. 
Una occasione preziosa è data dalla formazione del nuovo Piano Territoriale Regionale al cui documento preliminare la montagna non ha contribuito come ci si sarebbe aspettati. 
Occorre una proposta costruttiva di nuovi orizzonti secondo i lineamenti della Convenzione Europea delle Alpi, sottoscritta dall'Italia, ma sovente dimenticata. 
La secessione sembra un gesto disperato, ma l'averla evocata, può forse determinare una riflessione più matura e consapevole, nei montanari ed in quelli che abitano le aree sottostanti.
Una riflessione che motivi la solidarietà, eviti gli sprechi, integri le prospettive, susciti una speranza, costringa alla responsabilità. Soprattutto assegni autonomia e con questa desti la fierezza di chi è abituato a superare le difficoltà credendo in un destino comune da costruire con sacrificio e determinazione.

Franco Posocco
27 agosto 2008

info@quadernibellunesi.it   

 


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Realizzato con la collaborazione del Circolo Culturale "Antonio della Lucia"