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Troverete un bambino…
Non posso, non riesco a nascondere la gioia di essere
di nuovo qui, in questa chiesa, restituita al splendore originario: è
una gioia oltre che una soddisfazione. Isaia ci ha detto nella prima
lettura: «Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e
come si esulta quando si divide la preda»: immagini un po’
lontane dalla nostra sensibilità moderna, eppure rigurgitanti di una
soddisfazione, di cui quella che abbiamo provato stasera entrando in
chiesa è solo un pallido barlume.
Ma perché gioire in questa notte?
Puer natus est nobis, un bambino è nato per noi, risponde subito il
profeta.
Obiezione: tutti i giorni, in ogni secondo nascono
bambini? Certo, ogni nascita è un motivo di gioia e di speranza: per la
puerpera, per il padre, per tutti quelli di casa. Ogni bimbo è segno di
speranza per noi e – in fondo – per Dio stesso: ogni neonato è
segno indiscusso che Dio non è ancora stufo di noi uomini.
Ma il bambino di questa notte – sempre secondo Isaia – porta altri
motivi di gioia. «Sulle sue spalle è il
potere e il suo nome sarà… Dio potente,… Principe della pace…
Grande sarà il suo potere… la pace non avrà fine … egli viene a
consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia…».
In quest’anno dobbiamo sottolineare anche le parole di san Paolo: «è
apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini». E
allora questo bambino porta allora una novità.Ma poi ci addentriamo nel
brano del vangelo e ascoltiamo:
«Questo per voi il segno: troverete un bambino
avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
E qui ci fermiamo, disarmati.
Queste parole racchiudono un paradosso: da quella nascita l’antico
profeta si attendeva altre cose: gioia, pace, giustizia, salvezza,
stabilità per il trono di Davide. E invece le profezie ci conducono,
mano nella mano, davanti a un bambino in una stalla, davanti a un
concentrato di debolezza, di impotenza e di povertà. A completare il
quadro Maria e Giuseppe, due giovani sposini per i quali non c’è mai
posto nell’albergo. La pace e la giustizia per tutto il mondo da uno
che non ha avuto neppure una casa per nascere…In quegli anni, altri
annunciavano pace e giustizia. Ottaviano Augusto per esempio: l’evangelista
lo nomina qui, evocando la potenza e lo splendore della Roma imperiale e
così ha creato il più forte contrasto con quel neonato, venuto alla
luce in quell’oscura borgata di Giudea, Betlemme, terra di Efrata.
Anche Augusto si faceva chiamare sotèr, salvatore e principe
della pace. Ogni imperatore, dopo di lui, coniò sulle monete il suo
titolo“restauratore del
mondo”, “atteso delle genti”, “restitutore della luce”. E in
fondo gli uomini hanno sempre pensato così: che, cioè, solo chi è
forte, chi ha eserciti, chi ha il comando, può imporre agli altri la
pace e benessere.
Ma in quella notte, Dio ha rovesciato queste ataviche convinzioni. «Dio
– scriverà san Paolo 50 anni dopo – ha scelto ciò che nel mondo
è stolto per confondere i sapienti; Dio ha scelto ciò che nel mondo è
debole per confondere i forti». (1Cor 1, 27). E che cosa è
più stolto per il mondo della povertà; che cosa è più debole di un
bambino? Ecco il senso di quel segno: un bambino in una mangiatoia.Solo
un Dio veramente Dio poteva ipotizzare un simile rovesciamento della
logica umana; solo lui poteva dire “no” a ciò che gli uomini
hanno sempre ritenuto importante: ricchezza, potere, onori, autorità…
Noi non ci saremmo mai arrivati. Eppure è quello che ci viene detto
stanotte: Tu, o Dio, hai nascosto queste cose ai grandi e le hai
rivelate ai piccoli: sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. I
grandi, i potenti, i forti, non ti fanno paura; tu hai confuso i
sapienti e i forti e questo è il segno: un bambino in una mangiatoia.
Avresti potuto nascere a Roma, come figlio del potente di turno. Del
resto, così era stata immaginata una famosa nascita nella Quarta
Egloga virgiliana: Ultima Cumaei venit iam carminis aetas… iam
redit et virgo, redeunt saturnia regna… Sarebbe stata anche quella
un’incarnazione; «vero Dio e vero uomo» anche nella reggia del
grande Pollione, che aspettava insieme al poeta quel figlio tanto
sospirato. Ma Dio avrebbe sottoscritto ciò che gli uomini avevano
sempre pensato: niente di nuovo sotto il sole.Invece per te, o Dio,
oltre che farti uomo, era importante farti povero e umile. E così hai
dato speranza ai derelitti, a quelli che non contano. Ci hai dato una
speranza “che sarà di tutto il popolo”. Dai speranza anche a quella
donna, che si sta separando dal marito e non sa dove sbattere la testa.
Vuoi dare speranza anche a quel mio amico, ingarbugliato nei debiti
perché la banca gli ha chiuso la porta. Vuoi dare speranza a quella
ragazza, che aspetta un bambino e non ha coraggio di dirlo al suo
fidanzato, ancora ignaro di essere padre. Dai speranza a quel padre, il
cui figlio si canna ogni sabato sera… Dai speranza a chi ognuno di noi
sa identificare, forse con se stesso. Dai speranza, perché se c’è
qualcosa non ha una dignità più grande di una mangiatoia, lì tu ci
sei.
E hai dato speranza anche a me, che talvolta mi sento così come sono:
ma tu lì, in quella mangiatoia, il più grande segno di speranza.
Grazie, Gesù.
-
.don.davide@parrocchiacortina.it.
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Cortina
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.Cortina
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E in
fondo gli uomini hanno sempre pensato così: che, cioè, solo chi è
forte, chi ha eserciti, chi ha il comando, può imporre agli altri la
pace e benessere.
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Vuoi dare speranza a quella
ragazza, che aspetta un bambino e non ha coraggio di dirlo al suo
fidanzato, ancora ignaro di essere padre. Dai speranza a quel padre, il
cui figlio si canna ogni sabato sera…
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